domenica 5 ottobre 2014

Caravaggio ci offre il corpo del Cristo tramite Nicodemo "Hoc est enim corpus meum" nella sua opera: la Deposizione

Negli ultimi anni di permanenza a Roma il Caravaggio si dedica, su commissione di Girolamo Vittrice, a quella creazione che molti concordemente, sia tra i suoi contemporanei sia fino ad oggi definiscono l'opera più bella e significativa. Viene realizzata nella cappella della Pietà della Chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma, celebre sede dell’Oratorio di san Filippo Neri.
Il maestro forte dell'esperienza ormai maturata per le precedenti commissioni pubbliche, tra cui, nella cappella Contarelli (Chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma): le tre tele dedicate a San Matteo; nell'Oratorio di San Lorenzo a Palermo: la Natività, realizzata a Roma; nella cappella Cerasi ( Chiesa di Santa Maria del Popolo, Roma); le due tele dedicate agli apostoli Pietro e Paolo, e varie altre. Resosi riflessivo per le diverse contestazioni e rifiuti si dedica a questa opera con l'intento, questa volta, di rispettare i canoni del classicismo, almeno come impostazione del complesso pittorico: il gruppo di figure umane ed il grande formato (R. Longhi). Forse fu proprio questo ossequio alla tradizione che gli favorì innumerevoli lodi. Tali lodi furono riportate persino da Giovanni Baglione che, con molta franchezza, scrisse:
« Nella chiesa nuova alla man dritta v'è del suo nella seconda cappella il Christo morto che lo vogliono seppellire con alcune figure, a olio lavorato; e questa dicono che sia la migliore opera di lui.»
Queste, invece, la parole di Giovanni Pietro Bellori: 
« Ben tra le migliori opere, che uscissero dal pennello di Michele si tiene meritamente in istima la Depositione di Christo nella Chiesa Nuova de' Padri dell'Oratorio situate le figure sopra una pietra nell'apertura del sepolcro. » (Uliano)

Deposizione, 1603; Olio su tela, cm. 300 x 203; Roma Pinacoteca Vaticana



Riporto Roberto Longhi: ""Ma, di fronte a quell'astratto diagramma [Baglione Bellori], lo stimolo è quasi di preferire le interpretazioni romantiche che videro quel quadro "il funerale del capo di una tribù di zingari". La verità sta ne mezzo; nell'intendere ciò è che il Caravaggio non mirava a dipingere né "i peggiori"(gli zingari) nei "i migliori" (sappiamo noi chi fossero), ma semplicemente i suoi ""simili"", gli eguali ..."" [Roberto Longhi - caravaggio Editori riuniti 1968]

Sebbene il classico prevalga, il dubbio, non insolito, il Caravaggio ce lo crea, in ogni modo. Infatti la scena rappresentata egregiamente, non ci racconta l'avvenimento come Matteo riporta nel Vangelo. Nel testo sacro ad assistere alla deposizione non compare  la Madonna, che è quivi aggiunta dal pittore, e perché sull'altare dedicato alla Pietà ci riporta, invece, la deposizione del Cristo? Cosa rappresenta veramente quella grossa pietra che attrae immediatamente l'attenzione e crea grande corposità a tutta l'opera? La pietra della chiusura del sepolcro? O la pietra ove il cadavere di Gesù fu appoggiato sul candido sudario per ungerlo con mirra e aloe, e sul quale la Madonna esercitò il Compianto, secondo quanto dice Giovanni nel suo Vangelo. Magari il collegamento fra queste due interpretazioni [date dal Graeve, 1958 pag. 227] avviene anche tramite la figura di Nicodemo che pare sia il Buonarroti che scolpì la Pietà, sicuramente nota al Caravaggio, e guardandoci attentamente, con il gomito rivolto verso noi sembra attrarre particolarmente la nostra attenzione per raccontare ed esporre. La Madonna, Giovanni e Nicodemo la sintesi che il Caravaggio riesce a concludere. Tutto accentrato sul Corpo di Cristo posto sull'altare allorché il celebrante della messa, ai piedi del quadro con lo sguardo condotto dalla luce caravaggiesca perpetuerà l'utopia od il miracolo, e dicendo"Hoc est enim corpus meum", alza l'ostia verso quel corpo defunto che indica con il braccio inanimato la pietra con il segno delle tre dita. Tutto conformemente alle regole della controriforma che ribadiscono  che fanno la differenza dei cattolici in merito alla reale presenza del Corpo di Cristo nell'ostia. La fede allora è i paradigma di lettura di questa opera carica di mistero e dei Misteri del Credo: le tre dita che toccano quella pietra, basilare alla Chiesa richiamano l'altro Mistero della Trinità.

Con quest'opera il Caravaggio non volle fallire il compito affidatogli dalla committenza e segui la strada dell'imitazione: la Pietà di Michelangelo, di Raffaello Sanzio nella Pala Baglioni (1507), la rappresentazione della Morte di Meleagro che l'artista aveva potuto vedere a Roma, e la Deposizione di Simone Peterzano, suo primo maestro, nella Chiesa di San Fedele a Milano.

L’equilibrio compositivo del dipinto non impedisce che la violenta drammaticità del temperamento del maestro, contenuta nelle figure delle Marie e dei due apostoli, esploda in quella di Maria di Cleofa, dalle braccia desolatamente tese in alto. Anche l'effusione di amore, quasi intimo di Giovanni, quel che appoggia la testa sul cuore di Gesù nel Cenacolo di Leonardo, e qui vediamo quasi voler effondere il fiato sul cadavere, verificare se sia veramente privo di vita ed abbracciarlo con forza imprimendo le dita quasi entro la ferita I loro gesti, l'urlo di Maria di Cleofa, comportamento emotivo femminile, sono espressione degli teoria degli affetti secondo la quale il dolore straziante dei personaggi nel dipinto, temperato esclusivamente dalla consolazione spirituale della preghiera, doveva essere vissuto anche dall'osservatore perché partecipasse in prima persona alla narrazione, in una sorta di Sindrome di Stendhal ante litteram. Così accadde allorché lo vidi ai Musei Vaticani.

Per Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, è “il capolavoro assoluto del Caravaggio romano” (2010).Di questo erano sicuri anche i commissari francesi che lo requisirono nel 1797 per esporlo nel Museé Napoleon di Parigi, unico fra i quadri di Caravaggio sottratti alle chiese della capitale. Ha poi incontrato anche il gusto e la sensibilità del pubblico dal seicento ad oggi perché a tutti appariva come il più classico, il più impostato sui modelli della iconografia tradizionale, anche se rinnovati e arricchiti con un uso magistrale della luce 'divina', che irrompe con forza a marcare i corpi scultorei dei protagonisti impegnati in gesti ritmati, semplici ed ieratici.(Uliano)


L'indicazione dell pietra ed il simbolo della Trinità (le tre dita)