giovedì 14 aprile 2016

MICHELANGELO MERISI da CARAVAGGIO

IL SOGNO DI OGNI MUSEO


Il quadro ritrovato in soffitta

A Parigi viene mostrato per la prima volta alla stampa, il quadro ritrovato nella soffitta di una abitazione nella regione francese di Toulouse che potrebbe essere attribuito a Caravaggio. In attesa delle perizie che potrebbero portare all'attribuzione, il Ministero della Cultura francese ha disposto che la tela non esca dal territorio nazionale. Il quadro, un olio su tela che rappresenta Giuditta che decapita Oloferne, è stato ritrovato dai proprietari dell'abitazione nel 2014, nascosto dietro a un falso muro, duranti i lavori per una perdita di acqua. Secondo Eric Turquin, a capo del team che sta curando gli studi sulla tela, l'opera sarebbe stata dipinta da Caravaggio negli ultimi anni di vita, tra il 1600 e il 1610. Caravaggio dipinse due versioni della "Giuditta e Oloferne", una realizzata a Roma e conservata nella Galleria Nazionale d'arte antica di Palazzo Barberini, l'altro dipinto a Napoli e scomparso nel XVII secolo. Nei prossimi mesi gli esperti del museo del Louvre studieranno l'opera che, se attribuita a Caravaggio, potrebbe avere un valore di 120 milioni di euro. L'attribuzione sarebbe attestata da una copia dell'epoca realizzata da Louis Finson, appartenente alla collezione del Banco di Napoli ed esposta a Palazzo Zevallos a Napoli. L'esistenza dell'originale sarebbe nominata proprio nel testamento del pittore fiammingo Louis Finson che, nato a Bruges e morto ad Amsterdam, trascorse alcuni anni in Italia tra il 1600 e il 1610 e un periodo a Napoli nel 1604.

Quadro rinvenuto in soffitta della casa nella regione di Tolosa che si presume opera del Caravaggio



Giuditta ed Oloferne di Michelangelo Merisi da Caravaggio; olio su tela 145 x 195; Galleria d'Arte Antica Palazzo Barberini Roma; eseguito tra il 1598-1599

GIUDITTA e OLOFERNE (1598-1599)
 In occasione della mostra a Palazzo Reale di Milano, tutta dedicata a Michelangelo Merisi da Caravaggio organizzata e diretta  da Roberto Longhi nell’aprile del 1951, poco prima dell’inaugurazione e giusto il tempo per finirne il restauro l’opera apparve come un ‘coup de théatre’ determinando stupore e meraviglia.  Nel successivo restauro del 1999 emersero sulla tela originale le lettere C.O.C., sciolte in “Comes Ottavius Costa”, la stessa sigla che Ottavio Costa il banchiere di Genova (Albenga) che finanziava il Vaticano e protettore del Merisi, faceva scolpire nelle argenterie. Il Longhi ne fece immediatamente l’attribuzione : - L’opera non tarderà ad entrare stabilmente nel corpus autografo del grande lombardo. A causa del ritardo della consegna alla mostra non compare nello specifico catalogo , ma viene così descritta, sempre dal Longhi, nel suo Caravaggio, pag. 20 della prima edizione settembre 1968 degli Editori Riuniti “” Un’occasione per più inclinare sul versante dell’orrido si presentò, inevitabile, nella -Giuditta- della raccolta Coppi, dove il delicato e l’avventante di questa -Fornarina del naturalismo- reggono a stento ( e se schivano infatti) al terrore enorme del gigantesco scannato e del tendone sanguigno che incombe sul fattaccio con quel suo ferale geroglifico.””
Si tratta di un olio su tela di cm. 145 x 195 conservato a Palazzo Barberini  Galleria d’arte Antica, e per conoscere le vicende dei passaggi di proprietà  si rimanda agli studi recenti (2004) Costa Restagno
Mi permetto, qui di seguito alcune riflessioni, in occasione del rinvenimento dell’altra opera di medesimo soggetto rinvenuta di recente nella Regione di Tolosa in Francia.
Si osservi, il prevalere su tu tutti, con potenza la forza espressiva di Giuditta colpita a pieno da quella luce che è l'elemento distintivo del Caravaggio, e si ponga l'attenzione su ogni particolare peculiarmente disegnato: dall'anatomia dei corpi nelle loro posizioni e gestualità: la testa di Oloferne con la torsione del distacco, la forza del getto del sangue fuoriuscente dalle arterie recise, corrisponde, chirurgicamente, al comportamento del sangue sgorgante che scorre copioso nei vasi del collo!
 L'atteggiamento di Giuditta tra l'indifferenza e l'obbligo fatale.
La fantesca sebbene soggetta al gozzo tiroideo, come si osserva nella crocifissione di Sant'Andrea, qui non è evidenziato quale elemento ininfluente alla scenografia.
 Il drappo rosso per accentuare il dramma non prevale su tutto, ma, lì, occorre come tenue elemento compositivo dell'assieme.
 È il getto del sangue, la torsione della testa decollata che ci fanno scorrere il brivido emotivo che ci suggestiona e ci turba profondamente e lì che lo sguardo si sofferma 'ictu oculi' e subito, condotto, dalla luce, scorre sul volto vigoroso di Giuditta!
Non so se l'opera ora rinvenuta ci dia queste suggestioni, mi pare eccessivamente dispersiva nel ritrarre l'avvenimento. Ed ogni oggetto disegnato sembra a se stante.
La grandezza del genio sta, proprio, nel ritrarre con semplicità e realismo, direi scientifico, gli elementi compositivi, e saperli evidenziare nella gerarchia che loro compete nella dinamica iconografica dell'accadimento!


 Copia di Finson

domenica 21 dicembre 2014

Oltre il sacro?

I due nudi integrali di Michelangelo Merisi da Caravaggio.

Michelangelo Buonarroti nell'affrescare la volta della Cappella Sistina aveva sublimato le proprie aspirazioni religiose ed i desideri sessuali nel rappresentare degli ignudi monumentali, tutti masse di muscoli nel senso sia neoplatonico che freudiano, il Caravaggio ci dà un'interpretazione del 'San Giovannino Battista' commissionato da Ciriaco Mattei nella sua reale e naturale realtà, come afferma il Longhi ""per immergerlo nella realtà naturale, occorre 'macinare la carne'; e interromperlo con i traversoni macchiati dell'ombra"".
Qualunque cosa si aspettasse Ciriaco Mattei quando commissionò al Caravaggio il dipinto con la raffigurazione del santo, di cui il figlio maggiore portava il nome, Giovanni Battista, sicuramente non aveva nulla da fare con quello che gli fu recapitato. Si trovò davanti il ragazzo del Caravaggio completamente nudo e molto sensuale ove l'eros superava l'opera precedente dell'Amor vincitore. Una luce patinata attraversa il corpo semidisteso in una posizione lasciva fino a giungere ad illuminare un vecchio ariete abbracciato dal ragazzo.

San Giovannino Battista 1602 - olio su tela, cm. 129x94 - Roma Musei Capitolini Pinacoteca.



""San giovanni Battista ignudo [...] non potria dimostrare più vera carne quanto fosse vivo, siccome Amoretto che si ritrova appresso al Principe Giustiniani, che fra i dipinti privati di Michelangelo da Caravaggio sarà forse il più degno"" [Scannelli, 1657, in Del'Acqua e Cinotti, 1971, doc. F121, p. 167]

Amor Vicitore, 1601-1602 (Gregori 1994), olio su tela, cm. 156x113, Berlino Gemaldegallerie

Amor Vicitore particolare da  Caravaggio di Roberto Longhi1968 Editori Riuniti tav. 23

Dopo diversi incarichi pubblici (Vocazione e Martirio di San Matteo, Conversione di Saulo, Crocefissione di San Pietro, Cena di Emmaus) il Caravaggio ottiene richieste della Mitologia, alla quale ha dedicato ben pochi impegni Amor Vincitore o Cupido è uno di questi.

Qui il Merisi dipinge la forza seduttiva dell'eros per rappresentare la bellezza. Ebbe un enorme successo per la forma direi scultorea che acquista l'immagine ove la tridimensionalità ne è l'elemento caratteristico.
Semplice, ridente e pulito questo ragazzo, oggetto di desiderio incantava tutti e finalmente si liberava dalle costrizioni dominate dalla cultura della Chiesa. E fu ben accettato dal committente: Vincenzo Giustiniani, un appassionato delle opere del Merisi, dal quale, tra l'altro, fu ben felice di acquistare, poi, il San Matteo e l'Angelo rifiutato dai preti, perché la figura di Paolo fu ritenuta eccessivamente rozza. 

Certamente il modello rappresentato dal Caravaggio, così ben appariscente in queste opere era ben conosciuto all'epoca. Costui era un certo 'Checco' ossia: Francesco Boneri detto infatti il Checco del Caravaggio. Lo vediamo in molteplici opere che il pittore compirà fino alla fine dei suoi giorni. Diremmo fino alla morte.

Davide con la testa di Golia, 1609-1610, olio su tela, 125 cm × 101 cm, Roma, Galleria Borghese
Quest'opera evocativa di momenti tragici del Caravaggio doveva essere la rappresentazione della sua espiazione per la grazia papale. Fu preparata per donarla al Papa, od anche il suo stesso avviso di uomo ricercato.
Il fascino di quest'opera deriva dalla grande tensione che si avverte osservando l'immagine dell'autoritratto del pittore. E ben si riconosce, oltre all'autoritratto, il volto di Cecco.
Forse un recondito pensiero di Michelangelo Merisi vagato nella sua mente stava divenendo realtà: quella di farsi togliere la vita dal suo amato. (Uliano)

domenica 5 ottobre 2014

Caravaggio ci offre il corpo del Cristo tramite Nicodemo "Hoc est enim corpus meum" nella sua opera: la Deposizione

Negli ultimi anni di permanenza a Roma il Caravaggio si dedica, su commissione di Girolamo Vittrice, a quella creazione che molti concordemente, sia tra i suoi contemporanei sia fino ad oggi definiscono l'opera più bella e significativa. Viene realizzata nella cappella della Pietà della Chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma, celebre sede dell’Oratorio di san Filippo Neri.
Il maestro forte dell'esperienza ormai maturata per le precedenti commissioni pubbliche, tra cui, nella cappella Contarelli (Chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma): le tre tele dedicate a San Matteo; nell'Oratorio di San Lorenzo a Palermo: la Natività, realizzata a Roma; nella cappella Cerasi ( Chiesa di Santa Maria del Popolo, Roma); le due tele dedicate agli apostoli Pietro e Paolo, e varie altre. Resosi riflessivo per le diverse contestazioni e rifiuti si dedica a questa opera con l'intento, questa volta, di rispettare i canoni del classicismo, almeno come impostazione del complesso pittorico: il gruppo di figure umane ed il grande formato (R. Longhi). Forse fu proprio questo ossequio alla tradizione che gli favorì innumerevoli lodi. Tali lodi furono riportate persino da Giovanni Baglione che, con molta franchezza, scrisse:
« Nella chiesa nuova alla man dritta v'è del suo nella seconda cappella il Christo morto che lo vogliono seppellire con alcune figure, a olio lavorato; e questa dicono che sia la migliore opera di lui.»
Queste, invece, la parole di Giovanni Pietro Bellori: 
« Ben tra le migliori opere, che uscissero dal pennello di Michele si tiene meritamente in istima la Depositione di Christo nella Chiesa Nuova de' Padri dell'Oratorio situate le figure sopra una pietra nell'apertura del sepolcro. » (Uliano)

Deposizione, 1603; Olio su tela, cm. 300 x 203; Roma Pinacoteca Vaticana



Riporto Roberto Longhi: ""Ma, di fronte a quell'astratto diagramma [Baglione Bellori], lo stimolo è quasi di preferire le interpretazioni romantiche che videro quel quadro "il funerale del capo di una tribù di zingari". La verità sta ne mezzo; nell'intendere ciò è che il Caravaggio non mirava a dipingere né "i peggiori"(gli zingari) nei "i migliori" (sappiamo noi chi fossero), ma semplicemente i suoi ""simili"", gli eguali ..."" [Roberto Longhi - caravaggio Editori riuniti 1968]

Sebbene il classico prevalga, il dubbio, non insolito, il Caravaggio ce lo crea, in ogni modo. Infatti la scena rappresentata egregiamente, non ci racconta l'avvenimento come Matteo riporta nel Vangelo. Nel testo sacro ad assistere alla deposizione non compare  la Madonna, che è quivi aggiunta dal pittore, e perché sull'altare dedicato alla Pietà ci riporta, invece, la deposizione del Cristo? Cosa rappresenta veramente quella grossa pietra che attrae immediatamente l'attenzione e crea grande corposità a tutta l'opera? La pietra della chiusura del sepolcro? O la pietra ove il cadavere di Gesù fu appoggiato sul candido sudario per ungerlo con mirra e aloe, e sul quale la Madonna esercitò il Compianto, secondo quanto dice Giovanni nel suo Vangelo. Magari il collegamento fra queste due interpretazioni [date dal Graeve, 1958 pag. 227] avviene anche tramite la figura di Nicodemo che pare sia il Buonarroti che scolpì la Pietà, sicuramente nota al Caravaggio, e guardandoci attentamente, con il gomito rivolto verso noi sembra attrarre particolarmente la nostra attenzione per raccontare ed esporre. La Madonna, Giovanni e Nicodemo la sintesi che il Caravaggio riesce a concludere. Tutto accentrato sul Corpo di Cristo posto sull'altare allorché il celebrante della messa, ai piedi del quadro con lo sguardo condotto dalla luce caravaggiesca perpetuerà l'utopia od il miracolo, e dicendo"Hoc est enim corpus meum", alza l'ostia verso quel corpo defunto che indica con il braccio inanimato la pietra con il segno delle tre dita. Tutto conformemente alle regole della controriforma che ribadiscono  che fanno la differenza dei cattolici in merito alla reale presenza del Corpo di Cristo nell'ostia. La fede allora è i paradigma di lettura di questa opera carica di mistero e dei Misteri del Credo: le tre dita che toccano quella pietra, basilare alla Chiesa richiamano l'altro Mistero della Trinità.

Con quest'opera il Caravaggio non volle fallire il compito affidatogli dalla committenza e segui la strada dell'imitazione: la Pietà di Michelangelo, di Raffaello Sanzio nella Pala Baglioni (1507), la rappresentazione della Morte di Meleagro che l'artista aveva potuto vedere a Roma, e la Deposizione di Simone Peterzano, suo primo maestro, nella Chiesa di San Fedele a Milano.

L’equilibrio compositivo del dipinto non impedisce che la violenta drammaticità del temperamento del maestro, contenuta nelle figure delle Marie e dei due apostoli, esploda in quella di Maria di Cleofa, dalle braccia desolatamente tese in alto. Anche l'effusione di amore, quasi intimo di Giovanni, quel che appoggia la testa sul cuore di Gesù nel Cenacolo di Leonardo, e qui vediamo quasi voler effondere il fiato sul cadavere, verificare se sia veramente privo di vita ed abbracciarlo con forza imprimendo le dita quasi entro la ferita I loro gesti, l'urlo di Maria di Cleofa, comportamento emotivo femminile, sono espressione degli teoria degli affetti secondo la quale il dolore straziante dei personaggi nel dipinto, temperato esclusivamente dalla consolazione spirituale della preghiera, doveva essere vissuto anche dall'osservatore perché partecipasse in prima persona alla narrazione, in una sorta di Sindrome di Stendhal ante litteram. Così accadde allorché lo vidi ai Musei Vaticani.

Per Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, è “il capolavoro assoluto del Caravaggio romano” (2010).Di questo erano sicuri anche i commissari francesi che lo requisirono nel 1797 per esporlo nel Museé Napoleon di Parigi, unico fra i quadri di Caravaggio sottratti alle chiese della capitale. Ha poi incontrato anche il gusto e la sensibilità del pubblico dal seicento ad oggi perché a tutti appariva come il più classico, il più impostato sui modelli della iconografia tradizionale, anche se rinnovati e arricchiti con un uso magistrale della luce 'divina', che irrompe con forza a marcare i corpi scultorei dei protagonisti impegnati in gesti ritmati, semplici ed ieratici.(Uliano)


L'indicazione dell pietra ed il simbolo della Trinità (le tre dita)

giovedì 25 settembre 2014

Masaccio. Con lui ebbe inizio il rinascimento: la sua forza espressiva ancora oggi lo rende un protagonista della pittura!

Masaccio, soprannome del pittore Tommaso di ser Giovanni (San Giovanni Valdarno 1401 - Roma 1428).

(PRIMA PARTE)

La cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre Firenze Chiesa di Santa Maria del Carmine Cappella Brancacci (1424)

Forse l'opera più nota del Masaccio, come, restaurata di recente, ci appare nell'immagine di destra. Un crudo realismo come non erano abituatati a vedere nella pittura sacra tant'è che nel restauro per riportare la raffigurazione allo stato originario hanno dovuto togliere i rami di fico che nascondevano parti del corpo di Adamo ed Eva. Ben si nota un'evidente ricerca di studio della prospettiva che veniva allora affrontato nella tecnica pittorica sia dal Brunelleschi, sia nella scultura dal Donatello.
Espressione di dolore nell'urlo di Eva e di vergogna nell'atteggiamento di Adamo in questa esasperazione dei loro stati d'animo notiamo un'altra novità espressiva del Masaccio che darà inizio alla pittura rinascimentale, anche nell'evidenza plastica dei corpi nudi direi scultorea nel rammentare Donatello.
I corpi ci appaiono in una forte evidenza statuaria e questa sarà una costante nelle opere dell'artista. (Uliano)

           Così ne parlò il Vasari
« Fu persona astrattissima e molto a caso, come quello che, avendo fisso tutto l'animo e la volontà alle cose dell'arte sola, si curava poco di sé e manco d'altrui. E perché e' non volle pensar già mai in maniera alcuna alle cure o cose del mondo, e non che altro al vestire stesso, non costumando riscuotere i danari da' suoi debitori, se non quando era in bisogno estremo, per Tommaso che era il suo nome, fu da tutti detto Masaccio. Non già perché è fusse vizioso, essendo egli la bontà naturale, ma per la tanta straccurataggine. »


Il primo lavoro sicuramente attribuibile a Masaccio è il Trittico di San Giovenale, datato 23 aprile 1422 e destinato a una chiesa di Cascia di Reggello, nei pressi di San Giovanni. L'iscrizione alla corporazione dei pittori di soli quattro mesi prima testimonia che certo Masaccio eseguì la commissione a Firenze.

Trittico di San Giovenale Cascia Reggello (1422)


Tra il 1423 ed il 1425 Masaccio lavorò con Masolino al cosiddetto Trittico Carnesecchi per la cappella di Paolo Carnesecchi nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Firenze.

Le Storie di San Giuliano ospedaliere Chiesa di Santa maria Maggiore a Firenze (1424)


Altra opera la Sant'Anna Metterza (messa in terza) Chiesa di Sant'Ambrogio di Firenze (1424).In quest'opera vi è la commistione di lavoro tra Masaccio e Masolino e secondo Roberto Longhi la Madonna, il Bambino e anche Sant'Anna sono di mano del Masaccio, insieme all'angelo in alto a destra, e tutto il resto è mano del Masolino.

Sant'Anna Metterza (messa in terza) Chiesa di Sant'Ambrogio di Firenze (1424).
(continua)

sabato 20 settembre 2014

Con Gustav Klimt la pittura riacquista la sua bidimensionalità ed esalta l'eros.

Il bacio, dettaglio (vedi di seguito)

La vicenda artistica di Gustav Klimt (nato nel 1862 e morto nel 1918), coincide quasi per intero con la storia della Secessione viennese. Con il termine Secessione si intendono quei movimenti artistici, nati a fine ’800 tra Germania ed Austria, che avevano come obiettivo la creazione di uno stile che si distaccasse da quello accademico. Di fatto, le Secessioni introdussero in Austria e in Germania le novità stilistiche dell’'Art Nouveau' che in quel momento dilagavano per tutta Europa. La prima Secessione nacque a Monaco di Baviera nel 1892. Fu seguita nel 1897 da quella di Vienna e nel 1898 da quella di Berlino.A Vienna la Secessione, soprattutto in pittura, non é tanto un atto di rivolta contro l'arte del passato, che si sostiene non essere esistita, quanto piuttosto un'iniziativa tesa a creare l'arte in Austria, <>. La Secessione viennese fu un vasto movimento culturale ed artistico che vide coinvolti architetti (Olbrich, Hoffmann e Wagner) e pittori (Klimt, Moll, Moser, Kurzweil, Roller). La Vienna in cui questi artisti si trovarono ad operare era in quel momento una delle capitali europee più raffinate e colte. La presenza di musicisti quali Mahler e Schönberg, di intellettuali quali Freud e Wittegenstein, di scrittori quali Musil, rendevano Vienna una delle città più affascinanti d'Europa.


Gustav Klimt, AdeleBloch-Bauer (1897) olio, argento, oro su tela. ispirata dalla Teodora moglie dell'imperatore Giustiniano a san Vitale di Ravenna.

Il 1892 fu un anno cruciale per la vita di Klimt. Morì il padre e poco dopo morì anche il fratello Ernst.
Dovette provvedere alla cognata Helene Floge vedova e sua figlia. Conobbe allora la sorella minore di Helene, Emilie, pure lei artista, sorse tra di loro un forte amore.
Questi accadimenti lo coinvolsero emotivamente e furono causa di una crisi artistica.
Forse un tornare alle primarie sensazioni di una forte attrazione emotiva, a quella ‘posizione’ infantile di involuzione (regressione) a cui inducono momenti di depressione per ricondursi ad una realtà piatta e priva di volume, oppure, ma anche di conseguenza, la volontà di introdurre una notevole innovazione del tutto personale e creativa: tornare alle origini della pittura quale rappresentazione della realtà su di un foglio bidimensionale, e questo per superare l’impatto che la fotografia stava creando sulla pittura classica ove si tendeva a rappresentare la tridimensionalità e la prospettiva sulla tela.
Scoprì la realtà nella bidimensionalità e non fu allora casuale un suo recarsi a Ravenna nella basilica di San Vitale per osservare i mosaici bizantini che raffiguravano Teodora (547 d.c.), moglie dell’imperatore Giustiniano. Nel mosaico Teodora, molto bella, indossa un abito color porpora ed una splendente corona di zaffiri ed altre pietre. L’esaltazione dell’immagine che compare quasi ieratica acquista un senso di bellezza e reale ammirazione e per Klimt la sublimazione, forse, dell’eros, in un momento oscuro che stava riafferrandola luce tramite l’esaltazione della femminilità in involucri di lamine d’oro che volevano rappresentare nelle loro schematiche ed ossessive figure gli elementi primari della vita dell’uomo e della donna. Ovuli e spermatozoi da poco scoperti con il microscopio in quel crogiolo di evoluzione scientifica che stava avvenendo all'università viennese. (Uliano)


Ravenna basilica di San Vitale L'imperatrice Teodora e il suo seguito 547 d.c. circa), mosaico.

Gustav Klim ebbe svariate relazioni amorose e da queste apprese molto sulle donne: La sua profonda comprensione della loro sessualità, combinata con i suoi talenti artistici, gli consentì di rappresentare molto di più della sensualità: sapeva catturarne i sentimenti, la vera essenza della sensualità. I disegni di Kimt mostrano una modella consapevole e affiatata con l'artista in modo del tutto nuovo. Ecco come Albert Elsen T.G. Natter  lo descrissero:

Invece di posare per la posterità su qualche piedistallo con vari supporti e materiale scenico [...] dovendo apparire ignara di qualunque spettatore, la modella è ora consapevole di trovarsi, in privato, davanti ad un uomo che nutre molto interesse nei suoi confronti, non come musa ispiratrice, ma come donna. (A. Elsen -1994- "Drawing and a new sexual intimacy: Rodin and Schiele").

Klimt ha dipinto le donne nell'estasi onanistica, ha illustrato i potenziali erotici dell'auto contemplazione, ed ha affrontato il voluttuoso tema del lesbismo [...] Con questi lavori Klimt ha definito, o ha contribuito a creare, un moderno tipo femminile [...] Un'audacia di questo tipo non si sarebbe più vista nel mondo dell'arte in Europa o negli Stati Uniti fino agli anni venti del Novecento. (T.G. Natter - 2007 - "Gustav Kimt and the Dialogues of the Hetaerae. Erotic boundaries in Vienna around 1900")                                                                                                  


1907-1908 — Danae (olio su tela, 77 cmx83 cm)
Klimt affronta un soggetto tratto dalla mitologia greca antica: Danae fu fecondata nel sonno da Zeus, trasformatosi in pioggia d'oro. L'artista rinuncia alla consueta struttura verticale a favore di uno sviluppo ellittico. Infatti la donna è rappresentata rannicchiata in primo piano, ripiegata su sé stessa, avvolta in una forma circolare, che rimanda alla maternità e alla fertilità universale. Serenità e pace si leggono sul volto e nella posizione fetale della fanciulla. Danae diviene una fanciulla persa nel sonno e nella dimensione onirica, totalmente dimentica di sé e in balìa dei propri istinti sessuali. In nessun altro dipinto di Klimt la donna è così interamente identificata con la propria sessualità. Il corpo completamente abbandonato di Danae è circondato e ricoperto dai capelli, da un velo orientaleggiante e sulla sinistra da una pioggia d'oro. Nello scroscio della pioggia d'oro, che riecheggia di preziosismi bizantini, Klimt aggiunge un simbolo, un rettangolo verticale nero, che rappresenta il principio maschile.

1912-1913 — La Vergine (olio su tela, 190 cm × 200 cm)
All'aristocrazia consueta Klimt sostituisce ora allegorie erotiche. Il groviglio delle sette donne ha perso ogni realismo, come è evidente dal nudo quasi scheletrico sulla sinistra, e viene come riassorbito dal tessuto decorativo. L'associazione della bellezza a pose così innaturali vuol essere un'allusione alla fugacità della vita, un riflesso della decadenza della società contemporanea.



1918 — Adamoed Eva (olio su tela, 173 cm × 60 cm)
Il dipinto, incompiuto, assume valenza simbolica per il soggetto biblico e per la trattazione del volto di Eva, con il capo chino ed un sorriso dolce ma enigmatico. La parte inferiore, con il decorativismo dei fiori e dello sfondo, è tipica di Klimt; quella superiore, in cui le figure si impongono su un fondale monocromo, rivela una sintesi dalle linee tormentate più prossima allo stile di Schiele.




Il bacio (1907)
Quest'opera, in pieno accordo con i canoni dello stile Liberty, è dipinta su tela con decorazioni e mosaici (Klimt aveva un debole per i mosaici di Ravenna) in color oro sullo sfondo.
L'uomo, in piedi, si piega per baciare la donna che sta inginocchiata sul prato tra i fiori e sembra accettare il bacio, partecipando emotivamente. Solo la faccia e le braccia dei personaggi sono realistiche, il resto del quadro è formato da tinte piatte e volumi geometrici accostati. La faccia della donna è racchiusa fra le mani del maschio, il quale ha il braccio della femmina sul collo. Klimt ha vestito, ed è curioso da notare, i suoi personaggi con la lunga tunica che era solito portare. La coppia è contornata da un ovale. Le forme geometriche sono abbastanza allusive, sul vestito dell'uomo vi sono raffigurati dei rettangoli posizionati in verticale, sul vestito della donna sono raffigurati dei cerchi concentrici, tutte e due le forme geometriche ricordano il sesso dei soggetti che indossano quelle tuniche. Nella parte d'oro che ricopre l'uomo vi sono figure rettangolari e in bianco e nero, mentre la donna sembra essere punteggiata con mazzi di fiori ed è caratterizzata da forme rotondeggianti e prive di ogni possibile spigolo.

Inevitabili dubbi! Certezze del Caravaggio.


Martirio di San Matteo (1599-1600) -  olio su tela cm. 323x343 - Roma Chiesa di San Luigi dei Francesi, cappella Contarelli.

Il destino di Matteo era delineato nella Leggenda Aurea dal suo agiografo medioevale e tra le varie istruzioni assegnate al Caravaggio valeva la storia che Matteo fosse assassinato, dopo la celebrazione della messa, da un sicario armato di spada che agiva su ordine dell'irato re d'Etiopia. Costui era attratto da un ardente passione  per una vergine, sua nipote e figlia del suo predecessore, e nel corso della predica Matteo lo aveva accusato di violenza contro la santità del matrimonio, perché la fanciulla era monaca e sposa di cristo.
Matteo rappresentava le istanze della controriforma ed il suo martirio ne doveva essere una potente esemplificazione.

La tela suscita una forte e contrastante emozione. 
I corpi nudi assunti come espressione di forza ed evidente attrattiva fanno da cornice ad una scena cruenta e raccapricciante ove il povero uomo già ferito - si noti la macchia di sangue in prossimità dei piedi - pare ormai vicino alla morte, sia per la posizione della braccia che del corpo abbandonato supino.
Ma sarà veramente l'uomo seminudo che stringe il polso di Matteo a dargli il colpo di grazia? O lui è lì pronto a soccorrerlo e difenderlo con la spada tolta ai sicari armati che stando scappando? Il giovane dall'anatomia perfetta quasi eroica non sarà insieme agli altri seminudi che fanno da contorno quali neofiti pronti al battesimo dopo la messa?
Spesso nelle opere del Caravaggio la nudità è espressione di voluttà e bellezza immune da intenti delittuosi!

La genialità tecnica rappresentativa ci coinvolge in un vortice di luci ed ombre ed i primi piani di nudi accolgono immediatamente lo sguardo creando una profondità plastica rispetto al centro culminate dell'opera ove, come di solito, il Caravaggio pone il perno della riflessione del messaggio sacro! (Uliano)

venerdì 19 settembre 2014

La forza espressiva non attenua la dolcezza nelle tele del Masaccio



"Madonna col Bambino" tavola 24 X 18 cm, Galleria degli Uffizi, Firenze,
definita anche : La Madonna del solletico



"La mano del fondatore della nostra pittura quattrocentesca vi si dichiara, per ogni tratto, e invincibilmente, proprio mentre il genio che nasce sembra volere nascondersi dietro il velo della tradizione e starsene alle regole. [...] A chi mi avesse detto, lungi dall'opera, che Masaccio aveva pur dipinto una 'Madonna del solletico', avrei risposto con una spallucciata; rinvenuto il dipinto, occorre invece arrendersi all'evidenza. Masaccio spicca il titolo, è vero, dal gotico fiorito, ma già lo nega per forza di una nuova umana e laica meditazione. Di fronte al riso crescente, quasi infiammato del Bimbo ('e come il fantolin che inver' la mamma' ecc), la Madre, assorta nell'alta accigliatura, le labbra strette e smunte dell'eterna cucitrice italiana, quasi non sembra curare, se il gesto, abbozzato come benedizione, stia per tramutarsi in vezzo, e il pretesto risale così a potenza di motto dantesco. Oltre codeste regole ancora osservate sul punto stesso di eluderle, alcune trasgressioni più portanti mi sembrano imporre non solo la paternità, per quanto solenne; ma anche la collocazione dell'opera circa il 1426, sui tempi della predella pisana. [...] S'è già notato lo spostarsi del gruppo nell'etra dorata, come un tronco che stia crollando lievemente, perché intaccato al ceppo; ma ora si può dire dello scollo della Vergine in curva ripida come un epistilio che giri in tondo; o dell'armilla ideale che le braccia del Bimbo creano intorno al braccio della Madre: motivo ripetuto in minore dalle manine che sembrano andar misurando il polso materno, stampandovi, vicinissima, un'ombra di cinabro."












(Roberto Longhi, 1950)